2021



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Le fotografie

– La Pietà di Baccio Bandinelli nella chiesa della SS. Annunziata, foto di Franco M. di Matteo, 2009.

– La chiesa di San Procolo a Firenze, da Wikipedia.

– L’inizio del testamento di Bindo di Lapo dei Pazzi.

– Particolare della Pietà di Baccio Bandinelli, foto di Franco M. di Matteo, 2009.


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BINDO DI LAPO DEI PAZZI
e la cappella di Sant'Iacopo


Una cappella dedicata a Sant’Iacopo fu presente nel medieovo alla SS. Annunziata nel transetto di destra entrando in chiesa, nel luogo dove oggi si trova quella della Pietà che prende il nome dal bel monumento scultoreo di Baccio Bandinelli (1559). Da molti secoli la primitiva cappella non è più in essere e non è ricordata da resti materiali o da icone ma solo da qualche documento.
Era di patronato della famiglia Pazzi, come ricorda il padre Pellegrino Tonini nella del Santuario (1876), riportando il sunto di un atto notarile che siamo andati a leggere per curiosità e per trarne qualche notizia in più oltre alle già scritte.

Il 13 luglio 1348 dunque Bindo di Lapo dei Pazzi del popolo di San Procolo (via Giraldi), in pieno contagio di “Peste Nera”, chiamò nella sua abitazione il notaio ser Andrea di Giovanni di Giunta di Firenze e dettò le ultime volontà, presenti i testi fra Grimaldo di Cenni, fra Bartolomeo di Datuccio, fra Piero di Pacino e fra Piero di Lapo per i frati Servi di Maria della SS. Annunziata e Giovanni di Buono, Pietro di Polo e Bartolomeo di Cecco come laici della parrocchia.
Bindo era un gran signore e già basterebbe ad attestarlo la presenza di tutte quelle persone alla stesura dell’atto. Tra i frati poi fra Grimaldo era il priore provinciale di Toscana (1348-1350) e vantava un buon curriculum vitae. Era stato camarlingo alle mura del Comune di Firenze, si era opposto al generale fra Pietro da Todi nel 1339 e sarebbe stato priore del convento fiorentino nel 1353, due anni prima della morte (1355).
Degli altri frati invece almeno per ora abbiamo poche notizie.

Bindo, dunque, come ogni buon cristiano, facendo scrivere l’atto, per prima cosa raccomandò l’anima sua a Dio onnipotente, alla beata Maria Vergine e a tutti i santi e tutte le sante.

Poi “iudicavit” seppellire il corpo suo presso la chiesa di Santa Maria dei Servi nella cappella di Sant’Iacopo con indosso l’abito “fratale”.
“Item” legò annualmente al convento “pro dicta cappella habenda” e per la sua anima dai suoi beni due moggia di grano “buono e nitido”, mezzo congio di buon vino e un orcio d’olio della misura del comune di Firenze da ricavare sopra un suo podere con casa, capanna, forno, terra lavorativa e vignata e con alberi posto nel popolo di Santa Maria al Fornello (oggi comune di Pontassieve) luogo detto Poggio Orselli (cfr. il Fosso Orselli nel sottobacino della Sieve).
Bindo disponeva anche che dopo la morte il convento “teneatur et debeat” – fosse tenuto e dovesse – seppellire lui e tutti i maschi discendenti nella sua sepoltura all’interno e le femmine discendenti fuori di essa, all’esterno. Naturalmente si doveva prendere dalla sua eredità quanto servisse per fare le sepolture, tramite gli esecutori che avrebbe nominato nell’atto.
Quindi l’uomo ordinò “pro fulcimento” – per sostegno – dell’ornamento della cappella che i suoi beni fossero utlizzati anche per far fare un messale completo e un calice d’argento col paramento completo.
“Item” legò ai frati citati (Grimaldo e gli altri) soldi venti soldi ciascuno e in più lire sei per pregare per l’anima di Guida sua “famula”.
Riguardo a tutti gli altri beni mobili e immobili posseduti istituì erede universale la società della beata Maria di Orsanmichele e volle che suoi esecutori testamentari fossero il priore dei frati dei Servi pro tempore, il luogotenente e il capitano della società pro tempore e Drudetto suo figlio. Drudetto era il soprannome di Andreuzzo nato dal suo matrimonio con Stefana di Ridolfo di Malpiglio Ciccioni. Non era presente alla stesura dell'atto forse perché fuori città.

La sua famiglia e lui stesso infatti avevano degli “obblighi” politici verso la città e i loro consorti e per questo conducevano una vita piuttosto movimentata.
Nel 1341 Bindo era stato complice in una fallita congiura promossa da Schiatta dei Frescobaldi tesa a ristabilire il governo dei magnati dei quali faceva parte. Costretto a rifugiarsi a Pisa, ebbe confiscati i beni. Fu perdonato nel 1343 sotto il governo del duca d’Atene, contro cui, però, congiurò una seconda volta nel 1344 insieme a Corso di Amerigo Donati.

Drudetto nel 1344 era in Ungheria a servizio di re Andrea d’Angiò († 1345), primo e sfortunato marito di Giovanna I di Napoli, coinvolto nelle lotte di successione alla corona di questo regno. Ed è probabile che avesse questo incarico, o uno simile, anche al tempo del testamento del padre.
Ritornato in patria, sarebbe stato nominato castellano di Cennina nel 1357 e podestà di Montopoli nel 1363. Avrebbe sposato nel 1353 Costanza di Andrea di Filippo dei Bardi e avuto una figlia battezzata con il nome della nonna Stefana. Sarebbe deceduto nel 1383, pare senza quella discendenza maschile alla quale il padre Bindo nel testamento aveva dimostrato di tenere moltissimo, tanto da stabilirne l’inumazione nella sua sepoltura all’interno della cappella alla SS. Annunziata.

Paola Ircani Menichini, 18 settembre 2021.
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